Riflessioni di alcuni corsisti del Saba sul tema ‘Utopia’
a cinquecento anni dal libro di Thomas More

 

 

 

di Autori Vari

Utopia

 

Tommaso Moro.
Utopia o la migliore forma di repubblica.

Lo scrittore inglese Tommaso Moro scrive Utopia nel 1516. Egli fa esporre le proprie idee sullo Stato modello a Raffaele Itlodeo, che finge di aver conosciuto tramite il suo amico Peter Gilles. Raffaele racconta del rigido modo con cui in Inghilterra veniva esercitata la giustizia contro i ladri; vigeva infatti la pena di morte e venivano impiccate persone in molti casi costrette a rubare per necessità.
Egli sostiene la tesi della prevenzione dei delitti, piuttosto che la punizione di chi li commette. Ritiene che le origini del furto e del brigantaggio siano la conseguenza dei provvedimenti adottati dai proprietari terrieri che, destinando una vasta parte dei loro terreni al pascolo delle greggi, per fornire la materia prima alla nascente industria tessile, costringevano i contadini ad abbandonare le terre e a trasferirsi nei centri urbani.
L’incremento demografico urbano comportava un aumento dei prezzi dei vari beni, rendendoli inaccessibili anche agli stessi artigiani che ora lavoravano la lana. L’avidità dei proprietari terrieri causa una crisi generale che si riversa su tutto il paese.
Raffaele propone una riorganizzazione dell’agricoltura; è inoltre contrario alla pena di morte per il reato di furto, considerandola sproporzionata al reato e contraria al volere di Dio.
Descrive l’isola di Utopia che ha scoperto nei suoi viaggi, come modello di organizzazione dello Stato, dove alla produzione dei beni necessari partecipa la quasi totalità degli abitanti. Sei ore di lavoro al giorno e il resto del tempo dedicato ad istruzione e riposo. Pochi uomini scelti si dedicano esclusivamente allo studio.
La guerra è detestata, ma uomini e donne si addestrano negli esercizi militari per eventuali invasioni nemiche. Prima di essere visitata da Raffaele nell’isola esistevano varie religioni, ma quando conobbero il cristianesimo, gran parte degli abitanti accolsero questa religione, lasciando però libertà di scelta.
Per Tommaso Moro Utopia è lo Stato ideale, dove non esiste la proprietà privata ed è possibile realizzare la giustizia. Nessuno è povero o deve preoccuparsi delle proprie necessità. Egli dice però che potrebbe essere realizzata ovunque “se non vi si opponesse soltanto la superbia o la prepotenza tirannica, quella malvagia bestia, maggiore di tutte e madre di ogni rovina”.

Mario Meggiato


 

Chi dice che una cosa è impossibile, non dovrebbe disturbare chi la sta facendo.
Albert Einstein

I 500 anni del libro Utopia di Tommaso Moro, che inventò la parola e l’immagine, sono stati l’occasione per un’importante iniziativa che si è svolta lo scorso anno tra i Sassi di Matera, una città abbandonata per anni ed ora al centro di iniziative culturali.
Si è parlato di Europa come Utopia necessaria, di Altiero Spinelli e del Manifesto di Ventotene, di Adriano Olivetti e della sua idea di fabbrica come laboratorio sociale, di Franco Basaglia che ha creato un modo nuovo di concepire la follia e di prendersi cura delle persone che la vivono.
Gli interventi di artisti, scrittori, scienziati hanno sottolineato che di fronte alla crisi dei modelli di convivenza e di interpretazione del mondo, si avverte una grande mancanza, quella dell’immaginazione che sa vedere oltre. Ci si è chiesto se, dopo il tramonto delle ideologie, la crisi della religione, dopo il ’68, possa essere l’arte il luogo dell’Utopia, come sfida a pensare l’impensabile, con immagini di coraggio, distruzione e reinvenzione. Certamente può esserlo la scienza che continua a cambiare la rappresentazione che abbiamo dell’universo, anche grazie alla sua capacità visionaria.
Penso che Utopia non sia il rifugio in una terra fantastica, non sia un modello ideale di società ma, come nelle Città invisibili di Calvino, una ricerca alla quale l’essere umano non sa rinunciare.
Utopia è ritenere che la realtà non sia governata secondo leggi immutabili”.
Questo pensiero di cui non ricordo l’autore, mi ha fatto riprendere in mano le Lettere contro la guerra di Tiziano Terzani. Le ha scritte dopo l’11 settembre 2001, pochi anni prima di morire. Dice Terzani che il mondo è uno, che ogni parte ha il suo senso, che l’idea che una civiltà sia superiore ad un’altra è frutto di ignoranza, che l’armonia come la bellezza sta nell’equilibrio degli opposti. Terzani, che ha viaggiato e vissuto tra occidente e oriente, invita a fermarsi e prendere il tempo per stare in silenzio e riflettere. Ma invita anche a impegnarsi per i valori in cui si crede. Pensa che la civiltà si rafforza con la determinazione morale, non con le armi.
Anche se nella realtà di oggi prevalgono paure e conflitti, mi chiedo: Giustizia sociale, dignità umana, dialogo tra Occidente e Islam non sono forse Utopie necessarie?

Ivana Ballarin


 

 

Utopie

Per Utopie comunemente si intendono Idee o Progetti nobili e giusti, ma praticamente irrealizzabili. Potremmo considerarle sogni, speranze tendenti a migliorare la condizione vitale di tutti, che a volte potrebbero anche realizzarsi; di solito chi si fa promotore di una utopia viene considerato dai suoi simili, quando gli va bene, uno svitato, un sognatore, un pazzo.
Leggendo i ‘segni dei tempi’ si comincia a parlare di Utopia nel 1500, ma di questo argomento troviamo abbondanti tracce anche molto prima, già da quando l’uomo s’impone le prime leggi giuridiche. Di solito le Utopie nascono dopo periodi particolarmente difficili, forse sono proprio in quei momenti che trovano più disponibilità ad essere accolte da una moltitudine di uomini che hanno subito patimenti, ingiustizie, soprusi di ogni genere e che sono disposti a tutto pur di vederle realizzate.
Proviamo a pensare a quante cose sono cambiate dopo la seconda guerra mondiale.
A mio avviso coesistono due tipi di Utopie, quelle considerate irrealizzabili, che io ritengo positive perché servono al bene di tutti e quelle più facilmente realizzabili, che servono agli interessi di pochi, come ad esempio le acclamanti folle per approvare le dichiarazioni di guerra nel periodo fascista o altri casi del genere.
Ci sono ancora molte vecchie Utopie che aspettano di essere attuate, anche se sono già considerate di diritto internazionale, come ad esempio “amare il prossimo ed anche il nemico” condizione indispensabile per rafforzare la pace; una maggiore giustizia sociale ed economica, per evitare lo sradicamento di intere popolazioni con il solo scopo di favorire lo sfruttamento dei loro suoli, azioni di giustizia che sono ritardate da forze non sempre bene identificate, che frenano lo sviluppo, per favorire i propri interessi economici.
Ben vengano le Utopie positive sperando che siano sempre di più quelli che credono sia possibile un mondo dove sovrabbondi la Pace e la Giustizia.

Gino Fiorin


 

La Speranza

L’uomo è nato libero ma dappertutto è in catene”. E’ una delle più famose frasi di Rousseau, uno dei tanti filosofi che, sin dall’antichità, hanno cercato di risolvere la condizione della società umana elaborando progetti ideali.
L’hanno chiamata Utopia, cioè qualche cosa di irrealizzabile…un sogno. Le utopie nel tempo però hanno piantato negli uomini un seme, sono diventate un’arma potentissima che ha permesso loro di superare difficoltà e tragedie all’insegna di un unico motto: sperare in una società migliore.
E’ il filosofo tedesco, d'ispirazione marxista, Ernst Bloch, (1885 -1977), incontrato nel corso delle mie letture, che nella sua opera Il principio speranza, ha sottolineato la funzione positiva nella storia di questo sentimento, come “tensione al cambiamento”, nell’emancipazione delle classi oppresse.
Ecco un pensiero essenziale tratto dalla sua opera:
L'importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. Lo sperare, superiore all'aver paura, non è né passivo come questo sentimento né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla.
L'affetto dello sperare si espande, allarga gli uomini invece di restringerli, non si sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa all'esterno può essere loro alleato. Il lavoro di questo affetto vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando e cui essi stessi appartengono
”.
Grazie quindi a questo sentimento, il seme è germogliato; le idee utopistiche cominciano a realizzarsi, ma soprattutto, fissate nella coscienza di ogni essere umano, vengono trasmesse alle generazioni future.
Grazie alla “speranza” parole quali: libertà, eguaglianza, diritto alla vita, vengono scritte e sancite dalle carte costituzionali di tante nazioni.
E’ appena un inizio della formazione della coscienza dell’uomo, ma pur sempre un inizio.

Emanuele Antiga


 

Utopia

Il vocabolario dice che il termine deriva dal greco: u = non, topos = luogo, quindi luogo che non esiste. Sembrerebbe quindi dover chiudere qui. Ma se per “luogo che non esiste” intendiamo “luogo che non esiste adesso ma che potrebbe esistere domani” ecco che lo scenario cambia radicalmente.
E cambia, o può cambiare, il nostro atteggiamento. Da una posizione definitivamente chiusa e ferma, si passa ad una posizione di apertura e movimento, in cui la persona trova un suo senso di esistere.
La storia dell’umanità è costellata delle innumerevoli volte in cui ci si è trovati di fronte a “luoghi che non esistono”, a cose considerate al di fuori della possibilità, quindi impossibili, ma la stessa storia ci dice invece che l’uomo ha lavorato per costruire quei luoghi, per rendere realizzabile l’impossibile.
Scienza e medicina sono i campi della continua utopia da sfatare, il cammino dell’uomo, malgrado tutto, è fatto di luoghi da costruire e ricostruire, di strade da percorrere e ripercorrere.
L’Uomo non è mai finito, realizzato definitivamente, ma insegue l’obiettivo di raggiungere quel delicato precario equilibrio, mai consolidato, tra progresso e regressione.
L’Utopia come compagna di viaggio dunque non per smarrirci nella giustificazione di rincorrere l’irrealizzabile, il modello ideale, ma per dare corpo a quei sogni che ci fanno sentire parte dell’universo.

Maria Rosa Dal Corso


Basta così poco

Un sorriso
Una buona parola
Un gesto sincero
E subito sembra scivolar via
Quella patina di apatia
Che come un sudario
Ricopre l’arido cuore.

Sparisce come per magia
Il grigiore che mi circonda.

Anche il cielo sembra azzurro
Mentre le nuvole
Amichevolmente sorridono.

 

Potremmo allora trasmettere
Alle persone che incontriamo
Questa meravigliosa sensazione
Come fosse un benevolo virus.

E con un sorriso
Una buona parola
E perché no, un timido abbraccio,
Veder spuntare sui loro volti
Non solo stupore, ma gioia…

E forse anche
Un filo di speranza.

Graziella Mazzoni